Francisco Lecaros |
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Cristo discute con i farisei - Biblioteca del Monastero di Yuso, San Millán de la Cogolla (Spagna) |
Vangelo
In quel tempo, 1 si riunirono attorno a Gesù
i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
2 Avendo visto che alcuni dei suoi
discepoli prendevano cibo con mani impure,
cioè non lavate – 3 i farisei infatti e tutti
i Giudei non mangiano se non si sono lavati
accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione
degli antichi 4 e, tornando dal mercato,
non mangiano senza aver fatto le abluzioni,
e osservano molte altre cose per tradizione,
come lavature di bicchieri, di stoviglie,
di oggetti di rame e di letti –, 5 quei
farisei e scribi Lo interrogarono: “Perché i
tuoi discepoli non si comportano secondo
la tradizione degli antichi, ma prendono cibo
con mani impure?” 6 Ed Egli rispose loro:
“Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti,
come sta scritto: ‘Questo popolo Mi onora
con le labbra, ma il suo cuore è lontano da
Me. 7 Invano Mi rendono culto, insegnando
dottrine che sono precetti di uomini’. 8 Trascurando
il Comandamento di Dio, voi osservate
la tradizione degli uomini”. 14 Chiamata
di nuovo la folla, diceva loro: “AscoltateMi
tutti e comprendete bene! 15 Non c’è
nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui,
possa renderlo impuro. Ma sono le cose che
escono dall’uomo a renderlo impuro”. E diceva
[ai suoi discepoli]: 21 “Dal di dentro infatti,
cioè dal cuore degli uomini, escono i
propositi di male: impurità, furti, omicidi,
22 adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza,
invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
23 Tutte queste cose cattive vengono
fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”
(Mc 7, 1-8.14-15.21-23).
Di fronte all’ipocrisia farisaica, il Divino Maestro dimostra
che l’uomo non si definisce per le esteriorità, ma per le
intenzioni del cuore.
Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
I – Qual è il comportamento
all’altezza della vita divina?
Tutti noi nasciamo in peccato, come nemici
di Dio e oggetto della sua ira (cfr. Ef 2, 3), ma,
chiamati a ottenere il possesso della visione beatifica,
siamo stati elevati – a fianco degli Angeli
– alla vita divina. Vita talmente superiore a quella
semplicemente naturale, che la grazia – per la
quale a essa partecipiamo – appartiene al sesto
piano della creazione, molto al di sopra dei minerali,
dei vegetali, degli animali, degli uomini e
persino degli Angeli. È Dio stesso che prende l’iniziativa
di introdurla in noi attraverso il miracolo
straordinario del Battesimo che ci fa suoi figli.
Quando il sacerdote versa acqua sul nostro capo
e dice “Io ti battezzo in nome del Padre, e del Figlio
e dello Spirito Santo”, smettiamo di essere
meri animali razionali per diventare esseri divini,
con le virtù della fede, speranza, carità, prudenza,
giustizia, fortezza, temperanza, e tutti i doni
dello Spirito Santo infusi nell’anima.
Nella Liturgia della 22ª Domenica del Tempo
Ordinario troviamo stimoli, inviti, e chiarimenti riguardo
a questa vita, per poter meritare di arrivare
alla sua pienezza, passando dal tempo all’eternità.
La vita soprannaturale: dono del “Padre, creatore della luce”
Nella seconda lettura (Gc 1, 17-18.21b-22.27)
insiste San Giacomo: “Ogni buon regalo e ogni
dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal
Padre, creatore della luce” (1, 17a). Non c’è dono
più perfetto di questa vita soprannaturale! Tre sono
le creature che hanno “fino a un certo punto
infinita dignità”,1 poiché Dio non poteva farle più
eccellenti: Gesù Cristo Uomo, Maria Santissima e
la visione beatifica; quest’ultima già la possediamo
in germe, in questo mondo, attraverso la grazia.
Il “Padre, creatore della luce, presso il quale
non c’è variazione né ombra di cambiamento”
(Gc 1, 17b) perché è l’Essere Assoluto, “per sua
volontà ci ha generati per mezzo della Parola di
verità, per essere una primizia delle sue creature”
(Gc 1, 18). Sì, Egli ci ha generato per la vita
divina attraverso il suo Verbo, che Si è incarnato
affinché tutti abbiamo vita in abbondanza (cfr. Gv 10, 10). Per questo dobbiamo ricevere
con umiltà la Parola di Dio, che è capace di salvare
le nostre anime (cfr. Gc 1, 21b).
Tuttavia – continua San Giacomo – “siate di
quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori
soltanto, illudendo voi stessi” (1, 22); cioè,
non basta conoscere la dottrina, è necessario rispettare
le leggi della vita soprannaturale, apprendendo
a comportarci in modo differente, affrontando
le inclinazioni che sbocciano in noi a causa del peccato
originale, e vincendole per ottenere il premio
promesso. In questo consiste la prova che tutti attraversiamo,
durante il nostro passaggio sulla Terra.
Per mantenere la filiazione divina è indispensabile
che sviluppiamo la vita della grazia, compiendo
la Parola. Per questo, ammonisce ancora San Giacomo,
è necessario, “non lasciarsi contaminare da
questo mondo” (1, 27). Il mondo, infatti, ha una visione
carente di soprannaturale.
Gustavo Kralj |
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Jersey City vista da Upper Bay, con la Statua della Libertà in primo piano |
A sua volta, il Salmo Responsoriale è molto
istruttivo quando chiede: “Signore, chi abiterà
nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo
monte?” (Sal 14, 1). Come se dicesse: chi conviverà
con Te, o Dio? Chi starà eternamente in
tua compagnia? Chi godrà della tua stessa felicità?
Chi Ti vedrà faccia a faccia? Chi parteciperà
ai tuoi beni? E prosegue il salmista: “Colui
che cammina senza colpa, pratica la giustizia e
dice la verità che ha nel cuore” (Sal 14, 2), ossia,
chi ama la santità e la mette in pratica.
Per entrare nella Terra Promessa, Israele
deve abbracciare lo spirito soprannaturale
Nella prima lettura (Dt 4, 1?2.6?8) incontriamo
Mosè dopo che ha realizzato grandi meraviglie
col potere di Dio. Egli aveva liberato il popolo
ebreo dalla schiavitù dell’Egitto e, alzando
il suo vincastro, aveva diviso le acque del Mar
Rosso affinché gli Israeliti lo attraversassero fino
all’altra sponda, a piedi asciutti (cfr. Es 14,
21?22). In seguito, di fronte alla tremenda minaccia
delle truppe egizie che erano giunte per
catturarli e riportarli indietro – in quanto il Faraone
si era pentito di averli lasciati partire –,
egli aveva nuovamente alzato il braccio e le acque
si erano unite, inghiottendo tutto l’esercito
nemico (cfr. Es 14, 27?28).
Seguirono quaranta anni nel deserto, durante
i quali Mosè cavò acqua dalla pietra, Dio fece
scendere dal cielo la manna e venire quaglie
sopra l’accampamento degli Israeliti per alimentarli
(cfr. Es 17, 1?6; 16, 4?31), e fece altri
miracoli stupendi. Quattro decadi di educazione
e apprendistato per quel popolo, e anche di
castigo, per aver praticato il male! Nonostante
queste infedeltà, Dio non viene meno alla sua
promessa; al contrario, Egli la compie, consegnando
loro la Terra Promessa.
Giunta l’ora di entrarvi, occorre che il popolo
restituisca il bene già ricevuto, come quello
che avrebbe ancora dovuto ricevere. In cosa
consiste questa reciprocità? Ecco l’insegnamento
della lettura: nell’abbracciare lo spirito soprannaturale
e osservare la condotta morale e
religiosa prescritta da Dio, con l’intento di stabilire
una relazione tra Lui e il popolo. I decreti
che il profeta trasmette manifestano la superiorità
della nazione eletta dal Signore “agli occhi
dei popoli” (Dt 4, 6) e sono, secondo il linguaggio
dello stesso Mosè, “giusti” (Dt 4, 8). Sì, perché, come indica San Paolo, questa Legge educava
gli Ebrei a giungere fino a Nostro Signore
Gesù Cristo ed essere giustificati dalla fede in
Lui (cfr. Gal 3, 24).
Senza la Legge di Dio non c’è partecipazione alla vita divina
Ora, il vero spirito dei precetti positivi della
Legge Mosaica era sintetizzato nel Decalogo,
che definisce il comportamento che dobbiamo
avere per essere simili al Creatore. Queste
semplici leggi riassumono, in modo eccellente,
in cosa consiste l’esercizio della vita divina nelle
nostre anime e ci rendono adeguati a lei.
Gustavo Kralj |
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Mosè con le Tavole della Legge Monumento all’Immacolata, Piazza di Spagna, Roma |
Senza l’osservanza dei Dieci Comandamenti
non si partecipa alla vita di Dio, poiché, a partire
dal momento in cui è commesso un peccato
grave, per la trasgressione di uno di questi, si
perde la grazia santificante e l’inabitazione della
Santissima Trinità nell’anima, tornando questa
a esser schiava del demonio. “Il peccato mortale
è l’inferno in potenza. È, infatti, come un collasso
istantaneo della nostra vita soprannaturale, un
vero suicidio dell’anima alla vita della grazia”.2
Ma la natura umana è profondamente logica:
quando l’uomo, trascinato dalle sue cattive inclinazioni,
vuole praticare il male, ancor prima di
perpetrarlo inventa un ragionamento per giustificare
il suo atto. E, a poco a poco, crea un’altra religione,
con una morale diversa, indipendente dalla
Legge di Dio. Questa è la tendenza che, sotto
il manto di fedeltà agli insegnamenti di Mosè, vedremo
ritratta nel Vangelo di questa domenica e
smascherata da Nostro Signore Gesù Cristo.
II – Hanno divinizzato le leggi umane,e hanno umanizzato le Leggi divine
In quel tempo, 1 si riunirono attorno a
Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti
da Gerusalemme.
L’Evangelista San Marco è molto positivo, affermativo
e categorico. In quanto discepolo di
San Pietro, e accompagnandolo spesso, poteva
confermare la malvagità dei farisei che, del
resto, conosceva già anche troppo, essendo lui
stesso giudeo. Per questo s’impegnò a trascrivere
le discussioni di Gesù con loro, sia che gli fossero
state raccontate da San Pietro, sia che ne
fosse stato testimone. Nella scena raccolta dalla
Liturgia di oggi, egli narra come gli scribi e farisei
di Gerusalemme – ossia, quelli che più frequentavano
il Tempio – siano andati da Nostro
Signore. Non era per lasciarsi incantare da Lui
che Lo seguivano; venivano con l’obiettivo di
studiare le sue azioni e trovare qualche pretesto
per poterLo condannare.
Tradizioni umane che deviavano dalla Legge di Dio
2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli
prendevano cibo con mani impure, cioè
non lavate – 3 i farisei infatti e tutti i Giudei
non mangiano se non si sono lavati
accuratamente le mani, attenendosi alla
tradizione degli antichi 4 e, tornando dal
mercato, non mangiano senza aver fatto
le abluzioni, e osservano molte altre cose
per tradizione, come lavature di bicchieri,
di stoviglie, di oggetti di rame e di letti...
Gli scribi e farisei erano estremamente minuziosi
e attenti ai dettagli nel compimento di
una serie di costumi antichi, giungendo a volte
a esagerazioni ridicole. Queste norme, bisogna dire, non facevano parte della Legge di Mosè,
poiché erano state trasmesse per tradizione,
ma, per loro, avevano valore di dogmi, superiori
anche a quelle della Rivelazione.
Il dotto padre Bonsirven così si dilunga su questo
punto: “La legge orale è presentata all’inizio
come il recinto con cui si circonda la Torah [la
Legge di Mosè], per precisare quello che in essa è
molto vago o molto ampio, e assicurare un’osservanza
più esatta. Questa via, tuttavia, era molto
pericolosa: a forza di riempirsi di nuove prescrizioni,
il recinto finiva per diventare soffocante;
[...] le nuove puntualizzazioni, che incessantemente
restringono il terreno dove era possibile
muoversi liberamente, le deduzioni e assimilazioni
infinite che ampliano gli obblighi e moltiplicano
le interdizioni, sottomettendo al precetto i minimi
oggetti e introducendo minuzie che la Legge
non prevedeva né voleva, non smettono di ingrossare
ed alzare il recinto, stringendo e legando l’israelita
con una profusione di regole”.3
In concreto, l’origine delle prescrizioni di purificazione
risaliva all’esigenza divina che gli
Israeliti non si mescolassero con i popoli idolatri,
per non essere attratti dalle loro false religioni
(cfr. Es 34, 12?16). A poco a poco, tuttavia,
“quello che all’inizio era servito per esprimere la
santità di Dio e del suo popolo si trasformò in un
giogo insopportabile, e quello che era un mezzo
di protezione diventò un cappio per le anime”.4
Una teologia erronea
Infatti, i farisei finirono per inventare una teologia
di “universo chiuso”, con la quale dividevano
la creazione in due grandi categorie: la
prima era quella delle cose pure, quelle attinenti
direttamente al culto; la seconda, vastissima,
comprendeva le restanti cose, ritenute da loro
impure.5 Concezione assolutamente errata, poiché
implicava di affermare che Dio aveva creato
solo alcuni esseri che avessero relazione con
Lui, e tutto il resto fosse autonomo, senza alcun
vincolo con il Creatore.6
Per questo consideravano indispensabili le
abluzioni e i bagni dopo il contatto corporale
con tutto quello che non fosse puro, poiché, a loro
modo di vedere, l’uomo rimaneva macchiato.
Chi comparisse, infatti, a un funerale e toccasse il
defunto, o anche chi attraversasse un cimitero e
si accostasse a una tomba, era obbligato a purificarsi.
7 Tazze, ciotole e vasi erano lavati fuori, per
non inquinare le mani di chi li utilizzasse.8 Tale
particolare costituiva un vero controsenso, visto
che, per igiene, questi oggetti dovevano soprattutto
essere puliti dentro; ma il problema per loro
consisteva nella possibilità di prenderli senza
rischio di contaminazione.
In un certo senso si comprende come essi cadessero
in questo errore, visto che il punto di
partenza del loro ragionamento era valido. Infatti,
mentre gli Angeli, puri spiriti, non hanno
necessità di vedere, udire, degustare, toccare o
sentire gli odori, perché hanno una conoscenza
intuitiva, la creatura umana, composta da corpo
e anima, acquista la conoscenza attraverso i sensi,
pertanto, ha bisogno di un simbolo esteriore
per giungere alle conclusioni e comprendere
bene le realtà interiori. Gli stessi Sacramenti sono
costituiti da materia e forma in modo da essere
più accessibili alla nostra natura. La materia
del Battesimo, per esempio, è l’acqua – utilizzata
sempre per pulire –, di modo che, quando
viene versata sul capo del battezzando, significa
e realizza la purificazione completa dell’anima.
Ora, i farisei avevano esacerbato questa inclinazione
naturale dell’uomo fino all’inconcepibile,
ed era inevitabile che costumi stabiliti in
modo così arbitrario, e non per amore di Dio, arrivassero
all’assurdo. Per citare uno di questi, nel
trattato Yadaim, dedicato alle mani, si trova descritto
come effettuare il meticoloso rituale della
loro purificazione, dopo che avevano toccato “indebitamente”
le cose impure. Si noti, però, che
non si tratta di una questione di mani sporche o
pulite, ma di mani legalmente impure secondo i
concetti farisaici: “Le mani sono pure o impure
fino all’articolazione. Si versa la prima acqua fino
all’articolazione e la seconda più in là, tornando
alla mano, è puro. Se le due abluzioni sono
fatte oltre l’articolazione, ritornando alla mano,
è impuro. Se la prima [abluzione] è fatta sopra
una mano, e dopo, cambiando intenzione, sopra
le due mani, è impuro. Se la prima [abluzione] si
fa sopra le due [mani], e dopo, cambiando intenzione,
su una sola, è puro. Se una mano è lavata e
si strofina nell’altra, è impuro. Se essa si strofina
sul capo o sulla parete, è puro”.9
Gesù non obbliga a precetti umani
5 …quei farisei e scribi Lo interrogarono:
“Perché i tuoi discepoli non si comportano
secondo la tradizione degli antichi,
ma prendono cibo con mani impure?”
È curioso notare come gli scribi e farisei non
attacchino il Divino Maestro in maniera diretta,
perché probabilmente Egli osservava queste
imposizioni tradizionali, per evitare che si parlasse
male di Lui. Giunta l’ora del pasto, lavava
le mani e compiva il precetto, visto che era
un costume acquisito. Nel contempo, permetteva
che altri – in questo caso, alcuni degli Apostoli
– lo infrangessero, infatti queste minuzie e
dispute costituivano una sorta di legge terrena
che Lui, certamente, criticava e rispetto la quale
promuoveva un agere contra, per facilitare che
i suoi discepoli, lungi dall’aggrapparsi a norme
umane e dal volerle trasformare in divine, dimenticandosi
di Dio, ascendessero, questo sì,
dalle creature al Creatore.
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La Trasfigurazione - Cattedrale della Trasfigurazione (Toronto) - Canada |
Ciò nonostante, riguardo alla Legge consegnata
da Lui stesso a Mosè sul Monte Sinai, Nostro
Signore non dava libertà di seguirla o no,
dato che essa è eterna. I Dieci Comandamenti
non possono subire cambiamento alcuno, sono
fissi e perenni, e devono esser praticati fino
alla fine del mondo da tutti gli uomini e donne,
senza adattamenti alle convenienze del momento;
quanto agli altri precetti della Legge Mosaica,
Egli non è venuto “ad abolire, ma a dare pieno
compimento” (Mt 5, 17). Sono stati superati
perché “sopraggiunta la fede [in Gesù Cristo],
non siamo più sotto un pedagogo” (Gal 3, 25).
È quello che spiega Sant’Ireneo, con molta
chiarezza: “quei precetti che comportavano servitù
ed erano solo segni sono stati revocati nella
libertà del Nuovo Testamento. Mentre i precetti
naturali propri di chi è libero, e che sono comuni
a tutti, sono stati rinforzati e aumentati, dando
agli uomini, in abbondanza, il dono di conoscere
Dio come Padre per adozione, di amarLo
con tutto il cuore e, senza deviazioni, di seguire
il suo Verbo”.10 E commenta ancora lo stesso
Santo: “Le parole del Decalogo [...] permangono
tra noi, allargate e ampliate, ma non annullate
in occasione della sua venuta carnale”.11
Lo spirito del mondo
6 Ed Egli rispose loro: “Bene ha profetato
Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
‘Questo popolo Mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da Me. 7 Invano
Mi rendono culto, insegnando dottrine
che sono precetti di uomini’. 8 Trascurando
il Comandamento di Dio, voi
osservate la tradizione degli uomini”.
La risposta di Gesù non significa una disapprovazione
alla pratica di lavarsi le mani prima
di mangiare. Questo lo facciamo anche noi oggi,
per igiene, senza attenerci a una legge temporale
che ci imponga modi di essere mondani. Se,
però, ci fosse un decreto per procedere così per
amore di Dio, esso sarebbe legittimo.
Quelli che amano il mondo – come i farisei
– sono portati a dare più attenzione ai principi
della convivenza sociale che alla Legge di Dio,
perché, in pratica, vivono come se Dio non esistesse.
E, a volte, certe leggi umane, contrarie
alla Legge divina, le osservano con una precisione
assoluta. Per queste persone il fine ultimo
della vita si compie qui sulla Terra e, alla fine, la
paga che ricevono si riduce al concetto che gli
altri si sono fatti a loro riguardo.
Dobbiamo fare attenzione, nella nostra quotidianità,
a non dare più importanza all’opinione
degli altri che a quella di Dio. Che ci importi,
soprattutto, il suo giudizio su di noi! Immensamente
seria è la sua Legge e trasgredirla arreca
conseguenze terribili. Quando uno infrange una
legge del traffico, viene punito con una multa;
ma se per sfortuna viola un Comandamento divino, può vedere le porte del Cielo chiudersi davanti
a sé e andare all’inferno per tutta l’eternità!
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A sinistra: Farisei - Chiesa di Betfage (Terra Santa); a destra, Profeta Isaia - Chiesa di San Francesco a Ripa, Roma |
L’orribile difetto dell’ipocrisia
Per questo motivo Gesù Si sollevò contro i
farisei e li redarguì, applicando a loro la frase
di Isaia: “Questo popolo Mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da Me. Invano
Mi rendono culto, insegnando dottrine che sono
precetti di uomini”. Ossia, era meramente
umano il loro impegno a osservare, in forma
meticolosa, una serie di regole esterne. Malgrado
agissero così per una supposta ragione religiosa
e lodassero il Signore con le labbra, il loro
cuore era lontano da Lui. Sbagliavano, dunque,
a praticare una devozione di apparenza, bastando
loro quelle abluzioni per rimanere soddisfatti
e ritenersi liberi da qualsiasi impurità, senza
preoccuparsi dei vizi che macchiavano la loro
anima. Mentre in cuor loro conservavano tutto
quello che Gesù enumererà più avanti – “i propositi
di male: impurità, furti, omicidi, adultèri,
avidità, malvagità”, tra le altre cose –, essi sostenevano
l’idea che l’intimo dell’uomo – soprattutto
se era un fariseo – di per se stesso era puro,
e supponevano di trovare nelle esteriorità la
tranquillità di coscienza e la soluzione per coprire
questi difetti di spirito. Per questo il principale
titolo che ricevettero dal Salvatore fu
quello di “ipocriti”!
L’ipocrisia è un difetto orribile – molto più
comune di quanto pensiamo! –, per cui vi è
una dissociazione tra le parole e gli atteggiamenti
di una persona e ciò che pensa o vuole.
L’ipocrita assomiglia al “padre della menzogna”
(Gv 8, 44), perché questo è proprio il
modo di essere del demonio: si presenta con
parole molto attraenti, dando l’impressione
di voler fare il bene, ma le sue intenzioni sono
pessime.
Sebbene non facciano parte del Vangelo di
questa domenica, i versetti da 9 a 13 rendono
ancor più comprensibile questo insegnamento
del Divino Maestro: “Siete veramente abili
nel rifiutare il Comandamento di Dio, per osservare
la vostra tradizione” (Mc 7, 9). Infatti, i
farisei arrivarono a trasformare queste norme,
che avrebbero dovuto mirare al soprannaturale,
in una specie di idolatria. Stracciarono gli autentici
precetti morali e crearono una religione
propria, differente da quella vera, totalmente
sprovvista di carattere religioso e separata da
Dio, perché poggiava su dettami mondani, determinati
dalla vita sociale dell’epoca. Divinizzarono
la legge umana; desacralizzarono e umanizzarono
la Legge divina!
In seguito Gesù citò un esempio (cfr. Mc
7, 10?13) per mostrare come distorcevano la
Legge, svuotandola del suo contenuto e falsando
i costumi che su di essa si basavano: i farisei, poiché erano avari, ricorrevano a uno
stratagemma in maniera da potersi tenere il
denaro che, in funzione del Quarto Comandamento
del Decalogo, ogni figlio ha l’obbligo
di usare per assistere i genitori nella vecchiaia,
contribuendo alla loro sussistenza. Invece
di dare ai genitori la somma necessaria al loro
sostentamento, i farisei la consacravano come
offerta a Dio e si consideravano liberi da quel
dovere filiale.
Per mezzo di un enigma, Gesù chiama le folle a Sé
14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro:
“AscoltateMi tutti e comprendete
bene! 15 Non c’è nulla fuori dell’uomo
che, entrando in lui, possa renderlo
impuro. Ma sono le cose che escono
dall’uomo a renderlo impuro”.
Gesù chiamò la folla presso di Sé, perché essa
si era allontanata e si trovava quasi dispersa.
Sicuramente questa dispersione proveniva da
una formazione religiosa carente. Quante volte
le persone sono più interessate ai loro problemi concreti, anche quando hanno il Salvatore stesso
davanti a sé!
Per attirare l’attenzione delle folle, Egli
buttò lì, molto alla maniera orientale, una
sorta di enigma: “Non c’è nulla fuori dell’uomo
che, entrando in lui, possa renderlo impuro.
Ma sono le cose che escono dall’uomo
a renderlo impuro”. C’è da supporre che subito
si alzasse un vocio, una discussione per
tentare di scoprire quale fosse il significato di
quella frase. Tuttavia, non la risolsero... Solo
più tardi, stando in casa, i discepoli Lo interrogarono
riguardo alla parabola, e Gesù
gli spiegò quello che anche loro non avevano
compreso (cfr. Mc 7, 17?20).
L’uomo si definisce per le sue intenzioni
E diceva [ai suoi discepoli]: 21 “Dal di
dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini,
escono i propositi di male: impurità,
furti, omicidi, 22 adultèri, avidità,
malvagità, inganno, dissolutezza,
invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
23 Tutte
queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.
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Gesù discute con i farisei - Cattedrale di Saint Gatien, Tours (Francia) |
Nostro Signore veniva a distruggere la suddetta
teoria farisaica dell’“universo chiuso”, quando
“dichiarava mondi tutti gli alimenti” (Mc 7, 19),
cioè, che tutte le creature sono neutre. La materia
assimilata dall’uomo non è impura; al contrario, è
l’uomo che rende buone o cattive le cose, secondo
l’uso che ne fa. Di conseguenza, la “fabbrica”
di impurità già esiste dentro il cuore di ogni essere
umano, perché è stato concepito nel peccato originale
e le sue inclinazioni sono cattive. Senza l’ausilio
della grazia egli è un vero pozzo di miserie, un
fattore di follie e di delitti, incapace, col suo sforzo
personale, di mantenersi fedele alla pratica dei
Comandamenti, in forma stabile.
Questa corruzione dipende, soprattutto, dalle
sue intenzioni, poiché se, da un lato, è possibile
eseguire un’azione in sé santa avendo in
mente un disegno perverso, dall’altro, può succedere
che uno si veda nella contingenza di assistere
a scene terribili e che non sia da loro macchiato,
in quanto non dà loro la sua adesione.
Questa è la ragione per cui non dobbiamo turbarci
quando, per esempio, un pensiero disonesto,
suggerito dal demonio, ci viene in mente;
purché il cuore non consenta a lui e lo respinga,
rimaniamo tranquilli...
L’impurità dell’anima: questo è “il pomo della
discordia” in questa discussione tra il Divino
Maestro e i farisei. Gesù dimostra quanto sia ridicolo
immaginare che toccando un oggetto l’anima
si macchi. È chiaro che se uno utilizza il
corpo per offendere Dio acquista una macchia
nell’anima; ma quest’atto è partito da un cattivo
desiderio dell’intelligenza e della volontà, potenze
dell’anima, mentre il corpo è stato mero
strumento per fare quello che è illecito.
III – Siano le labbra d’accordo con il cuore!
Dio ci ha dato una Legge eterna che ha impresso
nella nostra anima; nel Sinai ci ha consegnato
questa Legge scritta su tavole di pietra,
infine, l’ha manifestata in modo ancora visibile
e vivo nello stesso Nostro Signore Gesù Cristo,
il Verbo di Dio che Si è fatto carne e ha abitato
tra noi, “per dare testimonianza alla verità”
(Gv 18, 37), in modo che tutti la conoscessimo
perfettamente.
Tuttavia, dal momento in cui Adamo ed Eva
hanno disprezzato tale Legge, in Paradiso, e
nell’ora della prova, non hanno optato per la
virtù, lasciandosi condurre dalle attrazioni del
demonio al punto da commettere il peccato, la
tendenza dell’uomo è quella di dimenticare la
Parola e la Legge.
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Incoronazione della Madonna - Museo Castelvecchio, Verona |
Ora, Dio vuole da noi un’accettazione piena
della Legge immutabile e sempiterna, essendo
“quelli che mettono in pratica la Parola e
non ascoltatori soltanto” (Gc 1, 22); Egli desidera
che il nostro intimo sia interamente d’accordo
con le labbra. Queste devono pronunciare
quello che trabocca dal cuore, come ha
affermato Nostro Signore: “la sua bocca infatti
esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”
(Lc 6, 45). È proprio
vero che noi dobbiamo tradurre
in parole, in atteggiamenti, in gesti,
in cura degli ambienti, in cerimoniale
e nella stessa persona,
la dottrina che abbiamo ricevuto
come eredità. Ma per non cadere
nell’equivoco farisaico, è necessario
prima di tutto progredire
nella vita spirituale, trasformare
l’anima e ottenere la massima
unione di vie e di pensieri con
Nostro Signore Gesù Cristo; il
resto verrà di conseguenza! È
Lui che, con la sua grazia, deve
rendere puro il nostro intimo, affinché
ne esca la bontà e sboccino
opere di giustizia.
Se non abbiamo mezzi per dare a Dio un
buon dono, all’altezza dei nostri desideri, offriamoGli
il poco che possediamo, animati, però,
da eccellente intenzione, con tutto il cuore...
Sarà come l’obolo della vedova elogiata da Gesù
nel Vangelo (cfr. Mc 12, 41?44): ella ha gettato
solo due monetine, quando, in fondo, voleva
dare il suo cuore!
Com’è il mio intimo?
La Liturgia di questa 22ª Domenica del Tempo
Ordinario si riassume nel seguente problema:
dov’è il mio cuore? Sarà che le mie labbra
lodano Dio, ma il mio intimo è fuori della Legge?
Quante volte preferisco essere in consonanza
con il mondo e in opposizione a Nostro Signore?
Io colloco Dio al centro della mia vita o
pongo al centro me stesso?
Tutte le nostre azioni si mettono in correlazione
col nostro destino eterno e con la nostra
vocazione soprannaturale; per questo siamo invitati
a essere integri davanti a Dio, amandoLo,
rispettando le sue Leggi con elevazione di spirito,
ferventi in relazione alla pratica della santità.
Chiediamo a Maria Santissima che ci ottenga
grazie straordinarie affinché i nostri cuori
siano fiammeggianti e le labbra trabocchino di
quello che canta e proclama il cuore!
1 SAN TOMMASO D’AQUINO.
Somma Teologica. I, q.25, a.6,
ad 4.
2 ROYO MARÍN, OP, Antonio. Teología
de la perfección cristiana.
Madrid: BAC, 2006, p.286.
3 BONSIRVEN, SJ, Joseph. Le judaïsme
palestinien au temps de
Jésus-Christ. 2.ed. Paris: Gabriel
Beauchesne, 1934, t.I, p.265-267.
4 TUYA, OP, Manuel de; SALGUERO,
OP, José. Introducción a la
Biblia. Madrid: BAC, 1967, v.II,
p.508.
5 Cfr. KELIM. M 17, 14. In: BONSIRVEN,
SJ, Joseph (Ed.). Textes
rabbiniques des deux premiers
siècles chrétiens. Roma: Pontificio
Istituto Biblico, 1955, p.665.
6 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO,
op. cit., q.103, a.5.
7 Cfr. OHALOT. M 1-3. In: BONSIRVEN,
Textes rabbiniques des
deux premiers siècles chrétiens, op.
cit., p.672-674.
8 Cfr. BERAKHOT. Y 12a; HAGIGÁ.
M 3, 1; ZEBAHIM. B
11, 7-8; KELIM. M 25, 6-9. In:
BONSIRVEN, Textes rabbiniques
des deux premiers siècles chrétiens,
op. cit., p.107; 283; 573; 668.
9 YADAIM. M 2, 3. In: BONSIRVEN,
Textes rabbiniques des deux premiers
siècles chrétiens, op. cit., p.707.
10 SANT’IRENEO DI LIONE. Adversus
Hæreses. L.IV, c.16, n.5:
MG 7, 1018.
11 Idem, n.4.
(Rivista Araldi del Vangelo, Agosto/2015, n. 148, p. 08 - 17)