Vangelo
In quel tempo, 3 Gesù disse loro
questa parabola: 4 “Chi di voi se ha
cento pecore e ne perde una, non
lascia le novantanove nel deserto e
va dietro a quella perduta, finché
non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la
mette in spalla tutto contento, 6
va
a casa, chiama gli amici e i vicini
dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che
era perduta!’ 7Così, vi dico, ci sarà
più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di
conversione” (Lc 15, 3-7).
I – l’estremo della Bontà divina
si unisce a quella umana
La Santa Chiesa celebra, il venerdì successivo alla II Domenica dopo Pentecoste, la Solennità del Sacro Cuore di Gesù, il simbolo più elevato
della bontà e dell’amore di Dio verso le sue creature, in modo incomparabile verso quelle che ha
creato a sua immagine e somiglianza. I testi liturgici di questa commemorazione sono stati scelti
specialmente per mostrare la dimensione della
benevolenza divina ma, soprattutto, evidenziano
l’impegno illimitato di Dio nel salvarci.
Cuore di Gesù, fornace ardente di carità
Ognuno di noi possiede dentro di sé un cuore
che pulsa giorno e notte e discerne con chiarezza i propri gusti e preferenze. Comunque, quanto
differente è il Cuore adorabile di Gesù, umano e,
allo stesso tempo, divino! Mai qualsiasi movimento di questo Cuore discorderà dal beneplacito della Santissima Trinità. Una volta creato, Si è unito ai
disegni che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo avevano per Lui, da tutta l’eternità e per tutta l’eternità, e ha manifestato a Dio il più perfetto e sublime
amore, penetrato di rispetto, adorazione e sottomissione. Amore illimitato – perché la sua natura
umana è unita ipostaticamente alla Seconda Persona della Santissima Trinità –, capace di abbracciare infinite umanità possibili di essere create e
che ricade in profusione sull’ordine dell’universo
uscito dalle sue mani, in particolare sulle creature che possiedono la sua stessa natura. Conoscendo le nostre miserie e debolezze, Egli tutto tollera,
compassionevole, senza mai diminuire il suo amore, nonostante le innumerevoli occasioni in cui Gli
diamo motivo per questo…
Quale deve essere, dunque, la grandezza del
Cuore di Gesù, fornace ardente di carità? Per
approssimarci di più alla comprensione della
sua immensità, consideriamo il periodo in cui è
avvenuta l’Incarnazione.
Pienezza dei tempi, pienezza
della miseria umana…
Se analizziamo la storia dei popoli antichi, facendo il conto alla rovescia fino alla nascita di Nostro Signore, vedremo che, dalla caduta di Adamo ed
Eva, innumerevoli infedeltà macchiavano la Terra,
e il mondo giaceva nelle tenebre e nell’ombra della morte (cfr. Lc 1, 79), in un vero delirio di iniquità.
Per incarnarSi, al fine di rimediare a tanti mali, Dio
ha scelto il momento culminante della decadenza dei popoli, poiché, come osserva San Tommaso
d’Aquino, “siccome sarebbe venuto il medico, era
necessario che prima del suo arrivo gli uomini fossero convinti della loro infermità, sia per quanto riguarda la mancanza di scienza nella legge della natura, sia per quanto riguarda la mancanza di virtù
nella legge scritta”.1
A questo proposito commenta anche San Leone Magno: “siccome l’empietà e
l’errore avevano, da molto, allontanato dal culto del
vero Dio tutte le nazioni, e persino lo stesso popolo
eletto di Dio, Israele, nella sua quasi totalità aveva
lasciato le istituzioni della Legge, e in questo modo
erano tutti chiusi nel peccato, la Divina Provvidenza mostrò misericordia a tutti. Realmente, mancando dappertutto la giustizia ed essendo il mondo
intero caduto nella vanità e nel male, se la Divina
Onnipotenza non avesse sospeso il suo giudizio, la
sentenza di condanna sarebbe caduta sulla totalità
degli uomini. Ma l’ira fu scambiata con l’indulgenza
e, affinché risplendesse ancor più la grandezza della grazia che si veniva a compiere, piacque allora a
Dio, per cancellare i peccati degli uomini, di concedere il mistero della remissione, quando ormai nessuno poteva gloriarsi dei suoi meriti”.2
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Nostro Signore Crocifisso - Basilica della
Madonna del Rosario, Caieiras (Brasile) |
Raggiunta, dunque, la pienezza dei tempi o,
chissà, la pienezza della miseria umana, il Creatore ha realizzato un’opera di misericordia,
inimmaginabile dagli Angeli e – a maggior ragione – dal genere umano.
Una via aperta per giungere a Dio
Secondo i nostri criteri, l’ingratitudine umana verso Dio era sufficiente perché Lui proferisse un “basta!” e abbandonasse l’umanità alla propria malvagità. Al contrario, preso da compassione per la sua creatura, Dio ha voluto incarnarSi, unendo la natura divina a quella umana, nella
Persona del Verbo. Nell’assumere la nostra natura con tutte le sue contingenze, la elevò, dice
Sant’Agostino, “affinché l’uomo avesse nell’Uomo-Dio una via aperta per arrivare al Dio degli
uomini”.3
È una manifestazione d’amore talmente incomprensibile che solo un Dio la potrebbe
escogitare! È cominciata, allora, la vera Storia, la
cui fonte è nel Cuore mille volte adorabile che la
Santa Chiesa commemora nella giornata di oggi.
II – Il pastore, immagine
della benevolenza divina
Le letture di questa Solennità sono
centrate sulla significativa figura del pastore che, facendosi in quattro in affetto e attenzioni per le sue pecore, riflette
– sebbene in modo imperfetto – la bontà del Sacro Cuore di Gesù. Da sempre,
Dio ha avuto in mente la creazione delle pecore e del pascolo con l’intento di
render più accessibile all’uomo la comprensione della sua immensa misericordia, elevandogli l’anima fino all’Archetipo del Pastore, Cristo stesso.
Mediatore per eccellenza
Leggiamo nella profezia di Ezechiele: “Ecco, io stesso cercherò le
mie pecore e ne avrò cura. Come un
pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue
pecore che erano state disperse, così
io passerò in rassegna le mie pecore e
le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine” (Ez 34, 11-12). O mistero della Fede! Per esser nostro intercessore con piena efficacia e offrire a Dio
una riparazione appropriata per i peccati del mondo che soccombeva “in
un giorno di nuvole e caligine”, c’era bisogno che il Verbo assumesse la
nostra carne. Infatti, “una tale eccelsa grandezza a quali condizioni avrebbe operato la sua mediazione, se noi
svincolati da essa eravamo prostrati
a terra ad una distanza smisurata? A
rendere possibile l’opera di mediazione doveva assumere qualcosa di diverso da sé; tuttavia, perché ne potessimo
ottenere il compimento, doveva rimanere quello che era”,4
afferma Sant’Agostino.
Egli è venuto, dunque, in cerca di noi, come il
pastore cerca la sua pecorella, e ha restaurato in
noi tutto quanto avevamo perduto con la disobbedienza originale.
Gesù, causa unica di ogni fedeltà
È difficile per una mentalità cronologica comprendere che per Dio non esiste tempo – che è
soltanto una sua semplice creatura – e che, pertanto, in Lui tutto è presente. Quello che è avvenuto, che avviene e avverrà fino alla fine del mondo è visto da Lui con un solo sguardo, da tutta l’eternità! In questo modo, tutta la corrispondenza
alla grazia e gli atti di virtù praticati nel periodo
precedente all’Incarnazione erano stati ottenuti e
conquistati ante prævisa merita, ossia, per i meriti
anticipati di Nostro Signore. Commenta San Leone Magno: “Quello che l’Incarnazione del Verbo ci ha portato era per il passato e per il futuro;
e non c’è stata nessuna età del mondo in cui il sacramento della salvezza degli uomini fosse inoperante. […] Dalla creazione del mondo, [Dio] ha
tracciato per tutti una sola e stessa via di salvezza.
Poiché la grazia di Dio, con cui sono stati sempre
giustificati tutti i santi, è stata, con la nascita di
Cristo, aumentata, ma non cominciata; e questo
mistero di così grande amore, di cui ora tutto il
mondo è pieno, era così potente anche nei segnali
che lo annunciavano, che non ci hanno guadagnato meno coloro che hanno creduto in lui quando
era promesso, di quanto quelli che lo hanno ricevuto quando è venuto”.5
Non è senza ragione che certi dottori, come
San Bernardo, difendono la tesi che alla radice
della perseveranza degli Angeli fedeli nel Cielo c’è il preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, versato sul Calvario: “Colui che
eresse l’uomo caduto, diede all’Angelo che stava
in piedi la grazia di non cadere, liberando il primo
dalla cattività, e da questa difendendo il secondo. In questo senso fu ugualmente per l’uno e per
l’altro redenzione, liberando l’uno dalla schiavitù e preservando l’altro dalla possibilità di cadere nella schiavitù. È dunque chiaro che Cristo Signore fu per i santi Angeli redenzione, come fu
per loro giustizia, sapienza e santificazione”.6
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San Michele Arcangelo, del Beato
Angelico - Particolare del Palazzo
della Santissima Trinità, Museo di
San Marco, Firenze |
I novantanove giusti e gli Angeli
Nel Vangelo di questa Solennità, Gesù narra
la parabola del pastore zelante che cerca la pecorella smarrita e gioisce nel trovarla, applicando in seguito questa immagine alla gioia senza
uguali che s’irradia nel Cielo per la conversione
di un solo peccatore, più che per la perseveranza
dei novantanove giusti. Avendo già avuto l’opportunità di analizzarlo in occasioni precedenti,7
mettiamo in relazione ora il passo di San Luca
contemplato in questo Vangelo con la Solennità
del Sacro Cuore.
Come insegna la teologia, la volontà degli Angeli, differentemente da quella degli uomini, aderisce agli oggetti in modo fisso e immutabile. Di
conseguenza, essi rimangono ostinati nel male
peccando, senza possibilità di tornare indietro,8
come è capitato a Lucifero e ai suoi seguaci, che ribellandosi a Dio sono stati immediatamente gettati all’inferno. Non è a loro, pertanto, che si riferiscono le parole dell’Evangelista: “Ci sarà nel Cielo
più gioia per un solo peccatore che si converte…”.
Non passibili di conversione, gli angeli cattivi non
potrebbero causare questa gioia, se non, forse, per
render evidente che il Paradiso Celeste è diventato pulito e immune dal peccato con la loro espulsione. In senso opposto, gli Angeli buoni che, avendo
abbracciato la verità e in essa sono stati confermati, costituiscono i “novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.
La gioia prodotta dalla
conversione dell’umanità
Infatti, questo bellissimo passo del Vangelo
è interpretato da diversi Padri e Dottori9
come
una menzione alla quantità di Angeli, molto superiore a quella delle creature umane. A sua
volta, il numero uno, la pecorella che si è perduta, rappresenta l’umanità peccatrice.
Descrivendo, allora, la gioia sentita dal pastore per il recupero della pecorella smarrita, Nostro Signore si riferisce alla conversione degli uomini, di cui Egli si occupa con indicibile affetto
e desiderio di salvare, come sottolinea il Salmo
Responsoriale: “Il Signore è il
mio pastore: non manco di nulla” (Sal 23, 1). L’immagine del
pastore, per quanto eccellente
sia questi, riproduce in maniera pallida e insufficiente la benignità di Dio, che Si è incarnato per essere nostro Buon
Pastore, e il cui Cuore Sacro
esulta di gioia quando una pecorella smarrita torna al suo divino ovile.
La festa della fiducia
incrollabile
La devozione al Sacro Cuore di Gesù, meditata dal punto
di vista del Vangelo di questa
Solennità, basterebbe a rendere incrollabile la nostra fiducia,
la quale è la speranza fortificata da una ferma convinzione.10
La pratica di questa virtù teologale ci dà un desiderio, pieno di certezza, che, grazie alla
benevolenza di Dio – e non per
i nostri meriti –, otterremo un
giorno la visione beatifica, avvalendoci dei mezzi che Egli
mette a nostra disposizione.
È proprio di chi cerca la
perfezione percepire quanto
la sua natura sia inadeguata e bisognosa di aiuto soprannaturale per la pratica
della virtù. Dice la Scrittura che il giusto pecca
sette volte al giorno (cfr. Pr 24, 16). Tuttavia, di
fronte alle nostre debolezze non perdiamo nemmeno una briciola di fiducia, certi che, in fondo, esse offrono alla Provvidenza l’occasione di
manifestare ancor più la sua grande misericordia. Alla luce di questo Vangelo dobbiamo, dunque, abbandonarci senza riserve nelle mani del
Divino Pastore e lasciarci condurre come semplici oggetti della sua bontà infinita. La celebrazione del Divino Cuore potrebbe esser chiamata, allora, festa della fiducia incrollabile.
III – Cuore di Gesù, pieno
di bontà e amore
Alcune ore prima che il Cuore di Gesù fosse
trafitto dalla lancia di Longino, essendo in procinto di consumarsi la Passione,
Nostro Signore rivolse una supplica a Dio, raccolta dal Vangelo: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 34). Perché Gesù ha
voluto chiamarLo Padre e non
Signore? Si direbbe fosse giunto il momento dell’indignazione divina, alla vista del rifiuto
di cui era oggetto l’Agnello senza macchia. In quest’ora Egli
ricorda al Padre Eterno la sua
condizione di Figlio, cercando,
in funzione di essa, di commuoverLo tanto quanto era commosso il suo Sacro Cuore, e lasciando trasparire il suo anelito
di salvare persino coloro che Lo
martirizzavano.
Ora, quei carnefici non avevano idea di chi stessero crocifiggendo e si vedevano nella contingenza di inchiodare
un supposto criminale sul legno della Croce, in obbedienza
a un ordine ricevuto. Noi, però,
quando offendiamo gravemente Dio non possiamo affermare che non sappiamo quello che
facciamo, visto che perché ci
sia peccato mortale è necessaria piena conoscenza e deliberato consenso per quello che si fa.
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Quadro del Cuore Immacolato di Maria
appartenente al Dott. Plinio Corrêa de Oliveira |
Padre, perdonalo
perché egli sa
quello che fa!
Dovremmo, dunque,
prendere la ferma risoluzione di rivolgere a Dio il
nostro cuore, malgrado
le nostre innumerevoli
miserie, pregando: “Signore, vero Dio e vero
Uomo, stando sull’alto
della Croce, il tuo primo
pensiero è stato di perdonare quelli che Ti torturavano, perché non sapevano quello che facevano. E questo desiderio
si è realizzato: per effetto della tua preghiera,
nello stesso giorno essi
hanno aperto gli occhi
alla tua divinità, come
ha attestato il centurione romano (cfr. Mt 27, 54; Mc 15, 39). Ma, Signore, essi erano meno peccatori di me, perché non
sapevano quello che facevano, e io so bene quello che faccio e quanto miserabile sono. O Gesù, o
Sacro Cuore, quante volte sono stato anch’io tuo
carnefice! Quante volte sono stato causa della tua
crocifissione! Per questo, nella Solennità di oggi io
Ti imploro: sii Tu il mio intercessore presso il Padre, ora che Ti trovi seduto alla sua destra! La tua
misericordia è diventata brillantissima agli occhi di
tutta la Storia quando hai pronunciato questa prima parola: ‘Padre, perdona loro, perché non
sanno quello che
fanno’. Ti chiedo di
farla rifulgere ancora di più, implorando: ‘Padre, perdonalo, perché egli
sa quello che fa!’.
Perdonando quelli che sanno quello
che fanno, usi una
maggior clemenza di
quando hai perdonato quelli che non
lo sanno. Non è illimitato il tuo Cuore? Signore, ecco
qui uno che Ti offre
l’opportunità di mostrare, più che sulla Croce e nel Calvario, l’infinita bontà depositata dalla Santissima Trinità nel tuo Sacro
Cuore. Abbi pietà di me e implora il perdono di
tutte le mie colpe commesse con intera coscienza”.
Questa è la grandezza della Solennità di oggi! È
la festa della misericordia, della benevolenza, del
perdono! Supplichiamo, per intercessione del Cuore Immacolato di Maria, che Egli dilati il nostro
cuore, aumentandone la capienza affinché riceva la
bontà incommensurabile del suo Sacro Cuore, e la
grazia di non dubitare mai della sua generosità. (Rivista Araldi del Vangelo, Giugno/2019, n. 193, p. 08-13)
1
SAN TOMMASO D’AQUINO. Super Epistolam Sancti Pauli Apostoli ad Galatas expositio.
C.IV, lect.2.
2
SAN LEONE MAGNO.
In Epiphaniæ Solemnitate. Sermo III, hom.14
[XXXIII], n.1. In: Sermons. 2.ed. Paris: Du
Cerf, 1964, vol.I, p.229.
3
SANT’AGOSTINO. De
Civitate Dei. L.XI, c.2.
In: Obras. Madrid: BAC,
1958, vol.XVI-XVII,
p.717.
4
SANT’AGOSTINO. Sermo CCXCIII, n.7. In:
Obras. Madrid: BAC,
1984, vol.XXV, p.195-196.
5
SAN LEONE MAGNO. In Nativitate Domini. Sermo III, hom.3
[XXIII], n.4. In: Sermons,
op. cit., p.103; 105.
6
SAN BERNARDO. Sermones sobre el Cantar
de los Cantares. Sermón
XXII, n.6. In: Obras
Completas. Madrid:
BAC, 1955, vol.II, p.138.
7
Si veda Commento al
Vangelo della XXIV Domenica del Tempo Ordinario, nel Volume VI
della collezione L’inedito
sui Vangeli. Città del Vaticano-San Paolo: LEV;
Lumen Sapientiae, 2012.
8
Cfr. SAN TOMMASO
D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.64, a.2.
9
Cfr. SAN CIRILLO D’ALESSANDRIA. Explanatio in Lucæ Evangelium. C.15, v.4: PG 72,
338-339; SAN BEDA.
In Lucæ Evangelium Expositio. L.IV, c.15: PL 92,
520-521; SAN GREGORIO MAGNO. Homiliæ
in Evangelia. L.II, hom.14
[XXXIV], in Lucam,
n.3. In: Obras. Madrid:
BAC, 1958, p.712-713;
SANT’AMBROGIO. Tratado sobre el Evangelio de
San Lucas. L.VII, n.210.
In: Obras. Madrid: BAC,
1966, vol.I, p.456-457.
10 Cfr. SAN TOMMASO
D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.129, a.6,
ad 3.