Stephen Nami |
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Cristo Crocefisso – Basilica della Madonna del Rosario, Caieiras (Brasile) |
"Vangelo"
Un giorno, 18 mentre Gesù si trovava in un
luogo appartato a pregare e i discepoli erano
con Lui, pose loro questa domanda: “Chi
sono Io secondo la gente?” 19 Essi risposero:
“Per alcuni Giovanni il Battista, per altri
Elia, per altri uno degli antichi profeti che è
risorto”. 20 Allora domandò: “Ma voi chi dite
che Io sia?” Pietro, prendendo la parola, rispose:
“Il Cristo di Dio”. 21 Egli allora ordinò
loro severamente di non riferirlo a nessuno.
22 E aggiunse: “Il Figlio dell’Uomo deve
soffrire molto, essere riprovato dagli anziani,
dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo
a morte e risorgere il terzo giorno”. 23 Poi
Gesù disse a tutti: “Se qualcuno vuol venire
dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua
croce ogni giorno e mi segua. 24 Chi vorrà salvare
la propria vita, la perderà, ma chi perderà
la propria vita per me, la salverà” (Lc 9,
18-24).
Al culmine della fama e della popolarità di Nostro Signore, tutti
si aspettavano in breve la sua acclamazione come un leader
politico senza precedenti. Gesù, però, smonta questa erronea
aspettativa con l’annuncio della sua Passione.
Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
I – La tentazione della terza posizione
E’difficile per l’uomo, nella relazione con il
prossimo o con Dio, agire secondo le esigenze
della sua coscienza, della morale e della verità.
Assumere un atteggiamento deciso e definitivo
costituisce una scelta ardua, poiché, da
un lato, nell’intimo dell’anima, lo chiama la voce
delle cattive inclinazioni provenienti dal peccato
e, dall’altro, l’invito alla rettitudine, alla
perfezione e alla santità fatto dalla grazia. Optare
per una di queste sollecitazioni implica serie
conseguenze, scatenandosi a partire da qui
una lotta che lo accompagna per tutta la vita fino
al momento del giudizio personale, fatto che
spiega la nota affermazione di Giobbe: “La vita
dell’uomo sulla terra è una battaglia” (7, 1).
Non c’è un’età a partire dalla quale sia possibile
considerarla conclusa; al contrario, le battaglie
spirituali diventano sempre più impetuose con
il passar del tempo. Lo conferma l’agiografia,
che mostra la lotta presente nel percorso terreno
dei santi, fino al loro ultimo sospiro. Celebre
è l’esclamazione di San Luigi Maria Grignion
de Montfort, nell’ora della morte, indicativa
del suo costante sforzo per mantenersi fedele
alla Legge divina, della quale si riteneva un
esecutore molto imperfetto: “Sono arrivato al
termine della mia carriera: non peccherò più!”.1
Tuttavia, quando non è giusto, l’uomo si scoraggia
in questa lotta ascetica e cerca di trovare un
mezzo per riposare, desiderando ottenere la ricompensa
eterna senza compiere sforzi. Tale è
la ragione per cui non esiste una corrente con
una maggiore quantità di adepti quanto la cosiddetta
terza posizione. Si tratta del partito più
numeroso esistente al mondo, dalla fuoriuscita
di Adamo e Eva dal Paradiso, perché la tendenza
dell’uomo non è cedere al male in quanto
male – infatti esser cattivo è scomodo e implica sempre lottare, esige capacità di lotta –,
ma fuggire dal dolore. La nostra esistenza comporta
sempre patimenti, poiché è impossibile vivere
senza soffrire, anche quando si è innocenti.
Né l’Innocenza in Se stessa, Nostro Signore,
né l’Innocente per eccellenza, la Madonna, sono
stati esenti dal dolore, essendo inconcepibile
un’esistenza terrena, per quanto eccelsa essa
sia, esente da avversità.
San Luigi Maria Grignion de Montfort, nella
sua Lettera circolare agli amici della Croce, ha
trattato questa lotta interiore mostrando il glorioso
cammino degli eletti: “La conoscenza pratica
del mistero della croce è data solo a poche
persone. Per salire al Calvario e lasciarsi crocifiggere
con Gesù, fra il suo stesso popolo, bisogna
che l’uomo sia valente, un eroe, uno deciso,
un uomo unito a Dio; che disprezzi il mondo,
l’inferno, il suo corpo e la propria volontà;
un uomo deciso a sacrificare tutto, a intraprendere
tutto e a patire tutto per Gesù Cristo. Sappiate,
cari Amici della Croce, che quelli tra voi
che non possiedono questa disposizione vanno
soltanto con un piede, volano con una sola
ala e non meritano di stare
in mezzo a voi, perché non
meritano di chiamarsi Amici
della Croce, che dobbiamo
amare, con Gesù Cristo,
corde magno et animo volenti
– con cuore grande e animo
generoso (cfr. II Mac
1, 3)”.2 Non esiste una terza
via nella quale uniamo i
vantaggi e la gloria dell’obbedienza
a Dio con il piacere
e le fruizioni del peccato.
La battaglia della nostra
vita spirituale, pertanto,
consiste nel prendere
fervidamente la prima posizione,
senza lasciarci ingannare
dalla falsità della terza.
Come aprire, allora, le
nostre anime all’ardua via
della sofferenza, unico modo
per rispondere alla chiamata
del Divino Maestro?
È quello che ci insegna Nostro
Signore in questo Vangelo
della 12ª Domenica del
Tempo Ordinario.
II – L’esempio del Salvatore
Il passo presentato per questa domenica si
situa nel periodo aureo della vita pubblica di
Gesù, quando la sua fama nel mondo ebraico
si avviava all’apogeo e si celebravano i suoi fatti
ovunque. La notizia dei miracoli realizzati
si era già sparsa per Israele, e non c’era un solo
angolo dove non si commentasse l’ascesa di
quel Maestro pieno di influenza e poteri soprannaturali.
Fillion commenta l’importanza
del momento storico e delle affermazioni di
Cristo ora contemplati: “Arriviamo a parole e
avvenimenti di altissima importanza. […] ecco
qui avvenimenti straordinari, pur all’interno
di una vita così straordinaria come è stata
quella di Nostro Signore. Questa vita, di per sé
così sublime, salirà in regioni ancora più elevate
prima di scendere a quella che molto giustamente
è stata chiamata valle profonda del dolore
e dell’umiliazione. Se da qui in poi Gesù
si occupa meno di istruire il popolo e lo vediamo
più raramente in contatto con lui, consacra,
in cambio, più attenzione al piccolo gruppo
dei suoi Apostoli, ai quali rivelerà i segreti
della sua origine e missione.
Così penetreremo sempre
più nel cuore del Vangelo”.3
Gustavo Kralj |
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La Madonna dei Dolori Museo di Arte Sacra, San Paolo (Brasile) |
Infatti, l’episodio di
questa domenica è ritenuto
come uno dei punti
più alti della convivenza
del Salvatore con i discepoli,
e un cippo importante
dell’istituzione della
Chiesa docente. Gli evangelisti
San Matteo e San
Marco raccontano che
Gesù Si trovava, quel giorno,
in prossimità di Cesarea
di Filippo, città situata
in territorio pagano, incastonata
in una regione isolata
e di grandiosa bellezza.
San Luca, sebbene non
offra precisi dettagli geografici,
registra un prezioso
particolare che ha preceduto
la confessione di
Pietro e il primo annuncio
della Passione: il Maestro
stava pregando.
La preghiera dell’Uomo-Dio
Un giorno, 18a mentre Gesù si trovava in
un luogo appartato a pregare e i discepoli
erano con Lui...
La preghiera di Gesù costituisce un appassionante
mistero menzionato in diverse occasioni
nel corso dei Vangeli. Dei quattro evangelisti,
San Luca si mostra più attento a questo
dettaglio, riferendolo con una certa frequenza.
I grandi episodi della vita di Cristo sono preceduti
da periodi di preghiera. L’evangelista menziona
undici occasioni nelle quali Gesù prega il
Padre, sebbene non sempre si soffermi sul contenuto
di tali colloqui.4
Questa volta Nostro Signore cerca un luogo
solitario e, senza congedare quelli che Lo seguivano,
Si discosta un po’ da loro e Si abbandona
ad una raccolta preghiera. La nostra pietà,
stimolata dalla grandezza dell’atto – il quale,
già di per sé, basterebbe a redimere l’umanità
–, ci porta a formulare alcune domande: se Egli
è Dio, chi pregava? È il destinatario della preghiera
e, allo stesso tempo, colui che prega? La
penna dei teologi non riesce ad esprimere appieno
la sublimità del fatto. Essendo Dio e Uomo, e
possedendo, per tale ragione, due nature distinte
unite nella Persona Divina del Verbo, in Cristo si
trova l’onnipotenza unita all’umanità, senza che
quest’ultima perda una sola delle sue caratteristiche,
tali come intelligenza, volontà, sensibilità,
memoria, immaginazione e altre facoltà. La
sua preghiera, pertanto, parte dalla natura umana
e si rivolge alla Trinità, la cui Seconda Persona
è Lui stesso. Il Padre ha voluto, per un decreto
di infinita sapienza, che certe grazie non ci fossero
concesse se non attraverso questa preghiera,
perché l’espressione della volontà umana di
Gesù, deliberata e assoluta, è l’intercessione perfetta
e deve esser esaudita. Quanto insondabile e
profonda è la preghiera del Maestro! Non conosceremo
mai in questa vita – ma solo in Cielo – la
forza impetratoria di una sua richiesta, come nella
commovente frase “io ho pregato per te” (Lc
22, 32), in virtù della quale ha perseverato non
soltanto San Pietro, ma anche ognuno di noi.
L’eccellenza della preghiera e del raccoglimento
Grande è l’apprezzamento di Nostro Signore
per la preghiera, tanto che ha voluto servir-
Sene per spargere grazie sul mondo. Quello che
era in suo potere concedere direttamente come
Dio, ha preferito chiedere in quanto Uomo, indicando
all’umanità una via infallibile e in armonia
con i disegni divini. Agendo in questo
modo, insegna San Cirillo di Alessandria, “si costituiva
a modello per i suoi discepoli”.5
Cornelio a Lapide, a sua volta, tesse le seguenti
considerazioni a proposito del valore e
degli effetti della preghiera: “Non c’è luogo né
tempo in cui non dobbiamo pregare. La preghiera
è la colonna delle virtù, la scala della divinità,
delle grazie e degli Angeli per scendere
sulla Terra, e degli uomini per salire alla montagna
eterna. La preghiera è la sorella degli Angeli,
il fondamento della fede, la corona delle anime
[…]. La preghiera è una catena d’oro che lega
l’uomo a Dio, Dio all’uomo, la Terra al Cielo;
essa chiude l’inferno, incatena i demoni; previene
i crimini e li elimina… La preghiera è l’arma
più forte; essa offre un’incrollabile sicurezza, è
il maggior tesoro; essa è il porto sicuro della salvezza;
è il vero luogo di rifugio”.6 Infatti, la preghiera
fa dell’uomo un essere più spiritualizzato, nel quale prevale la grazia di Dio e si acquietano
le passioni sregolate.
Sergio Miyazaki |
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Adorazione Eucaristica nella Casa Monte Carmelo |
Il Salvatore ancora ci offre un altro toccante
esempio in questa scena. RitirandoSi a pregare,
insegna a non limitarci unicamente alla preghiera
collettiva, come la partecipazione all’Eucaristia
o ad altri atti liturgici. Senza disdegnare
la preghiera collettiva, alla quale è legata la promessa
della sua presenza – “dove sono due o tre
riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”
(Mt 18, 20) –, Egli mostra che è molto benefico
pregare da soli, lontano dagli assembramenti.
Raccontando che Egli si trovava in compagnia
soltanto dei discepoli – particolare che secondo
Benedetto XVI denota quanto essi “sono
inclusi in questo suo star solo, nel suo riservatissimo
stare con il Padre”7 –, l’Evangelista ha voluto
mostrare la relazione tra la preghiera del Divino
Maestro e la domanda fatta da Lui subito dopo.
Gesù interroga i discepoli sulla sua Persona
18b ...pose loro questa domanda: “Chi sono
Io secondo la gente?” 19 Essi risposero:
“Per alcuni Giovanni il Battista,
per altri Elia, per altri uno degli antichi
profeti che è risorto”.
Rivolgendosi agli Apostoli, Nostro Signore li interroga
riguardo a quello che sentono dire su Se
stesso. La domanda possiede chiaramente una finalità
didattica, lasciando intendere che è l’anticipazione
di un’altra più importante. Possiamo immaginare
Gesù che ascolta con interesse le più svariate
e calorose ripercussioni offerte dai Dodici, i
quali, nel contatto diretto con le moltitudini, hanno
potuto raccogliere ogni tipo di impressioni, per offrire
al Maestro un sostanzioso resoconto dei commenti
popolari. Senza avere la necessità di una tale
testimonianza – che conosceva già da tutta l’eternità
–, Egli ha proceduto in questo modo per far
emergere l’opinione generale, prima di fissare quella
vera, di gran lunga superiore. Sarebbe risultata
evidente agli occhi dei discepoli, pertanto, l’inadeguatezza
dell’affermazione ammessa e la necessità
di possedere a suo riguardo una visione perfetta.
Tutto indica che questa conversazione è stata
più estesa della sintetica narrazione degli evangelisti,
i quali, nell’affermazione di San Giovanni
Crisostomo, “sono soliti di riassumere fatti e
parole, mossi per il desiderio di essere brevi e
succinti”.8 Saranno affiorate opinioni diverse,
più o meno corrette, e tra queste, con certezza,
avranno potuto essere incluse le osservazioni invidiose
fatte dai farisei. Alcuni mossi da cattiveria
e orgoglio, altri da ignoranza, il fatto è che il
parere generale su Gesù non andava al di là del
considerarLo come un uomo notevole o un profeta
pieno di doni e abilità taumaturgiche, da
cui tutti potevano trarre molto profitto, individualmente
e socialmente. Sintetizzando il parere
dei Giudei nel parallelo con le figure di Giovanni
Battista, Elia e Geremia (cfr. Mt 16, 14),
gli Apostoli trasmettono quella che era la voce
corrente. Ciò nonostante, Gesù era la Seconda
Persona della Santissima Trinità, Dio fatto Uomo
che era venuto ad operare guarigioni corporali,
sanare le anime e, mediante il sacrificio
cruento del Calvario, estirpare la piaga del peccato
e aprire le porte del Cielo. Infine, era giunto
il momento di quest’altissima rivelazione!
La confessione di Pietro
20 Allora domandò: “Ma voi chi dite che
Io sia?” Pietro, prendendo la parola, rispose:
“Il Cristo di Dio”. 21 Egli allora
ordinò loro severamente di non riferirlo
a nessuno.
Francisco Lecaros |
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L’Apostolo San Pietro, di Pere Sierra Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, Barcellona (Spagna) |
Dopo aver ascoltato con attenzione quello che
gli Apostoli avevano da dire, Nostro Signore li interroga,
a sua volta, su questa stessa questione.
Ora importa sapere il loro pensiero, visto che sono
in condizioni privilegiate per emettere un giudizio.
Non vedono Gesù soltanto da lontano, nelle piazze
o nel Tempio, Lo seguono tutti i giorni, si sono
consegnati al suo servizio e sono i depositari della
sua massima fiducia. Era opportuno che esprimessero
la propria opinione, dal momento che potevano
vedere e sapere molto di più? “Qui” – dirà
San Tommaso d’Aquino – “è la fede dei discepoli
ad essere esaminata”.9 Nel formulare la domanda,
separandoli dal resto delle persone – “e voi?” –, il
Maestro lascia intravvedere che si aspetta dai suoi
seguaci una risposta differente perché i commenti
del popolo non corrispondevano alla piena verità.
Per questo, insegna San Cirillo: “Quanto discreto
è questo ‘voi’! Li distingue dagli altri affinché
rifuggano anche dalle loro opinioni e così non
abbiano un’idea indegna di Lui”.10
Sulla didattica impiegata da Nostro Signore
nell’incitarli a un parere, il Dottor Angelico insegna
che Egli ha agito in questo modo perché desiderava
dare loro il merito della fede.11 Toccherà
a Pietro, l’Apostolo veemente, deciso e loquace,
la gloria di essere il primo a proclamare che Gesù
era il Figlio di Dio incarnato, la Seconda Persona
della Santissima Trinità. La sua percezione, tuttavia,
non si potrebbe attribuire alla sua mera perspicacia
naturale, quanto invece a una grazia speciale
per apprendere quello che l’intelligenza non
riusciva, per il fatto che si trattava di uno dei principali
misteri della nostra fede: “Quando Gesù ha
chiesto a loro qual era il parere del popolo, tutti
hanno parlato; ora che desiderava conoscere la
loro opinione personale, Pietro precede tutti ed
esclama: ‘Tu sei il Cristo’”.12 Con questa così solenne
confessione, passa dal campo implicito a quello
esplicito, con un carattere ufficiale, quello che
un’elevata ispirazione ha dettato nell’intimo di
Pietro, come riconosce il Salvatore: “Beato te, Simone
figlio di Giona, perché né la carne né il sangue
te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei
cieli” (Mt 16, 17). Un magnifico passo verso l’esaltazione
di Nostro Signore è compiuto, poiché esso
doveva essere fatto dai suoi più prossimi.
A seguire c’è stata l’istituzione del Papato, episodio
che fa vibrare l’anima cattolica, nonostante
sia omesso nella versione di San Luca (cfr. Mt
16, 18-19). Viene detto, però, che Gesù ha proibito
severamente di trasmettere a terzi quello che
era stato appena detto, impedendo con divina autorità
che una dichiarazione di tale gravità valicasse
i confini di quell’ambito. Non è difficile intuire
che lì aleggiava una grazia che favoriva l’entusiastica
accettazione della verità. Inoltre, è altrettanto
naturale prevedere l’esplosione di collera che
quest’atto di fede avrebbe causato, nel caso fosse
giunto all’orecchio delle autorità religiose di Israele.
C’era un altro motivo in più – come analizzeremo
a seguire – per sconsigliare, in quel momento,
la diffusione della vera identità del Signore.
Attesa di un falso Messia
Gli Apostoli, come tutti in Israele, attendevano
con impazienza l’avvento del Messia promesso
da Dio e annunciato dai profeti. Una santa aspettativa
orientava la vita di ogni giudeo, facendo
convergere su questo essere mitizzato tutte le sue
aspirazioni di felicità. In se stesso, tale impulso deve
esser ritenuto non solo come legittimo, ma anche
come una reazione salutare alla paganizzazione
della società di quel tempo e segno di fedeltà
alle promesse della Scrittura. Nel caso non avessero
proceduto così, gli ebrei avrebbero dato mostra
di una riprovevole debolezza. Era Dio che, nella
sua mirabile Provvidenza, li preparava all’arrivo del suo unto. Erano passati già cinque secoli dalla morte di Malachia, e dopo di lui più nessun profeta
aveva fatto sentire la sua voce tra i figli di Abramo.
Questo silenzio, unito alle vicissitudini storiche
che hanno avuto come scenario la Palestina,
in questo ampio quadro storico, concorreva a persuaderli
dell’importanza e necessità di tale uomo.
Ma, un travisamento si era consolidato nella
mentalità del popolo eletto – e, di conseguenza, in
quella degli Apostoli – riguardo l’indole della missione
di questo inviato. Il Messia, il Cristo di Dio,
non era per loro se non colui che sarebbe venuto
a stabilire la dominazione dei Giudei sugli altri popoli,
a risolvere tutti i problemi politici, sociali e, soprattutto,
finanziari del paese; egli avrebbe portato,
prima di qualsiasi altra cosa, una felicità umana.
Ossia, sarebbe stato il compendio di una sorta
di super Mosè, di super Davide e di super Salomone,
personaggi che avevano portato la nazione israelita
ad un sommo grado di gloria e avevano fatto
tremare gli stranieri. A fianco di un così formidabile
potere, pensavano loro, il Messia sarebbe stato anche
un uomo giusto, esecutore della Legge e timoroso
di Dio, come i maggiori esponenti del giudaismo.
Avrebbe coniugato una religiosità esemplare
con il dispotismo dei cesari, il rispetto della Torah
con l’irriverenza verso i gentili: in una parola, sarebbe
stato l’imperatore della terza posizione. Questo
Messia ci sarebbe stato uno che, insomma, avrebbe
portato tutti i benefici e avrebbe estirpato tutti
i mali di Israele. Che immensa vittoria! Per questo,
Nostro Signore fa loro una nuova rivelazione subito
dopo la dichiarazione di Pietro, per tutti inattesa.
Prima Egli stabilisce riservatezza sulla sua origine,
come se dicesse: “Non vi venga mai in mente
di insegnare che Io sono questo Messia a cui state
pensando. Sì, sono il Messia, ma non quello che voi
sentite e volete. Il Cristo che dovrete annunciare è
quello che Io stesso vi rivelerò”.13 Dopo, per estirpare
l’errore e formarli adeguatamente, Gesù, secondo
le parole di Louis Veuillot, “non lasciando
che essi si formassero un’ idea piacevole della gloria
che li aspettava, ha strappato il velo del futuro, e ha
mostrato loro il Calvario”.14
Sofferenza: il marchio del Salvatore
22 E aggiunse: “Il Figlio dell’Uomo deve
soffrire molto, essere riprovato dagli anziani,
dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser
messo a morte e risorgere il terzo giorno”.
“Quanto il cielo domina la Terra, tanto è superiore
alla vostra la mia condotta e i miei pensieri
oltrepassano i vostri” (Is 55, 9). Poche volte
le parole di Isaia sono state tanto vere come
quando applicate alla situazione dei Giudei.
Mentre il popolo aspettava un Messia terreno,
Nostro Signore veniva a portare il riscatto del
debito infinito contratto con il Padre con il peccato,
cosa che nessun uomo, per quanto santo e
perfetto fosse, avrebbe potuto fare. Non c’è termine
di paragone per esprimere la superiorità
della Redenzione davanti al più splendido degli
imperi umani e, pertanto, di quello che il Messia
portava ai Giudei, comparato con il regno
materiale che essi attendevano.
Ciò nonostante, per il pieno compimento di
una così alta missione, era necessaria l’espiazione
in Croce, l’immolazione del Figlio di Dio. Questa
dichiarazione – che di colpo contraddice i sogni
ad occhi aperti degli Apostoli – è fatta da Gesù
con tutto il suo realismo. Sant’Ambrogio riconosce
la difficoltà dei Dodici ad ammettere il preannuncio
della Passione e commenta: “Forse perché
il Signore sapeva che era difficile credere nel mistero
della Passione e Resurrezione, pur trattandosi
dei suoi discepoli, ha voluto essere Lui stesso
l’annunciatore”.15 Già i vaticini dei profeti dell’Antico
Testamento indicavano un Messia sofferente,
fatto che nessuno voleva ricordarsi. Nostro Signore,
risvegliandoli da una profonda letargia, mostra
che sarebbe stato disprezzato dal potere vigente,
da coloro senza la cui approvazione – pensavano
gli Apostoli –, non si sarebbe stabilito il regno
messianico. Egli spezza, in questo modo, il sostegno
psicologico depositato in uomini di falsa sapienza,
indicando che erano precisamente questi
coloro che avrebbero tramato la sua morte.
Francisco Lecaros |
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A sinistra, Gesù davanti a Caifa – Museo Episcopale di Vic (Spagna); a destra, Gesù davanti ad Anna, del Maestro di Rubió – Museo Nazionale d’Arte della Catalogna, Barcellona (Spagna) |
Allora Gesù, il Maestro, sarebbe stato ucciso!
Sì, “ocorre stabilire per sempre la vera natura
della salvezza tratta da Cristo; essa è operata
con le sue sofferenze e con la sua morte”.
16 L’impressione prodotta è stata così forte
che gli Apostoli sembrano non prestare attenzione
all’annuncio della Resurrezione nel terzo
giorno. Forse è stato questo sbigottimento che
ha fatto loro omettere nuove domande su come
sarebbe avvenuto questo olocausto. Senza dubbio,
era giunto il momento di conoscere il piano
di Dio nell’inviare suo Figlio Unigenito, visto
che il Padre desiderava conferirGli ogni onore e
ogni gloria, tanto più che essi erano a pochi mesi
da questo avvenimento culminante.
“Christianus alter Christus”
23 Poi Gesù disse a tutti: “Se qualcuno
vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda la sua croce ogni giorno e mi
segua. 24 Chi vorrà salvare la propria vita,
la perderà, ma chi perderà la propria
vita per me, la salverà”.
DirigendoSi alla moltitudine, che fino a questo
momento si era mantenuta a rispettosa distanza
dal piccolo gruppo, Nostro Signore rivolge
anche a lei la parola. L’insegnamento di
questi versetti nasce dall’audace annuncio dei
suoi patimenti, e indica che, sebbene non fosse
il momento di parlare pubblicamente della Passione,
Egli considera opportuno istruire i
suoi seguaci sul vero discepolato e sull’adeguamento
degli spiriti alla realtà della Croce.
“Se uno mi vuol seguire…”. L’invito è esplicito,
rispettoso, tuttavia, del libero arbitrio, senza
imporsi a nessuno con la forza. È necessario
che i buoni abbiano il merito della libertà ben
impiegata, e la loro adesione al Divino Maestro
deve basarsi sull’incanto, mai sulla coercizione.
Il gran numero di persone lì radunate non era
stato obbligato a seguire Gesù a Cesarea di Filippo.
Anche gli Apostoli avevano abbandonato
le reti e i lavori per un libero assenso personale.
Ebbene, per arrivare alla piena adesione a
Nostro Signore, sono indispensabili nuove rinunce,
che sempre devono esser fatte per mezzo di
un generoso sì da parte di ognuno. La maggiore
di queste, senz’ombra di dubbio, è quella che riguarda
se stessi, e per questo costa di più all’uomo
privo del dono dell’integrità. Tale squilibrio,
imposto dalle conseguenze del peccato, genera
nell’anima un apprezzamento smisurato per la
propria persona, portandola, quando non è santa,
ad amarsi e ad esaltarsi in maniera peccaminosa.
Ora, il perfetto amore verso Dio non si raggiunge
per mezzo della condiscendenza con questa
cattiva inclinazione, ma con la consegna totale
del proprio essere a Colui che ci ha creato. La
rinuncia di se stessi a beneficio della gloria di Dio
diventa un’esigenza della fedeltà a Lui.
Abbracciare la croce significa assumere con
radicalità il compimento della vocazione specifica,
ricevuta dal Battesimo. È facile accedere
alla chiamata divina quando questo invito
emerge dentro di noi spinto dal vento favorevole
delle consolazioni. Con l’inizio delle difficoltà
di ogni giorno, nell’aridità, nei patimenti fisici
o morali, nella persecuzione o le seduzioni del
mondo, si rende necessario abbracciare l’ideale
e seguirlo per amore, tale come l’esempio di
Nostro Signore nel caricare la Croce, portandola
con gioia, malgrado fosse immerso in un oceano
di amarezza. I suoi dolori, sommati a quelli
di Maria Santissima, sono stati incomparabilmente
maggiori dei nostri, poiché Gesù non ci
chiede nulla che Egli stesso non abbia patito
prima, in grado molto maggiore.
Sono stati ampi i commenti dei teologi riguardo
l’interpretazione di questo impressionante versetto
24, dove risulta chiaro che il valore della vita eterna
supera quello della vita terrena, meritando, anche,
l’alto prezzo del martirio. Tuttavia, possiamo
sottolineare che “guadagnarsi la vita” significa anche
avere un’esistenza ritmata dai Comandamenti,
avendo come obbiettivo la santità. Nella nostra
epoca, nella quale gli uomini pagano qualunque tributo
per percorrere una carriera brillante e costruirsi
un nome di prestigio, trarrebbe molto profitto
chi meditasse su questo passo, poiché nell’ansia di
ottenere un successo mondano – peggio se è a costo
del peccato – ci si può incamminare verso l’inferno.
III – La croce, fonte di felicità
In sintesi, il Vangelo di queste 12ª Domenica
del Tempo Ordinario ci offre elementi per un
esame di coscienza: qual è stato il nostro atteggiamento
di fronte alla Croce con la quale Nostro
Signore Gesù Cristo passa davanti a noi e ci
invita a seguirLo? Abbiamo una grandezza d’animo
adatta ad entrare nelle fila dei suoi seguaci
di spirito, o ci lasciamo meravigliare dalla sublimità
del suo insegnamento e, allo stesso tempo,
siamo ingannati dal miraggio delle cose peccaminose,
sull’esempio dei figli delle tenebre?
Saremo annoverati tra chi cerca la terza posizione,
armonizzando il bene con il male, in una
unione illegittima?
Francisco Lecaros |
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Religiose alla Via Crucis - Museo di arte religiosa di Puebla (Messico) |
La Liturgia di oggi ci indica la soluzione per
uno dei maggiori mali dell’angosciante secolo in cui viviamo, nel quale l’umanità utilizza tutti
i mezzi tecnologici, medici e sociali per evitare
il dolore, e patisce, come mai, angosce inenarrabili.
A prima vista, sembra un mistero il fatto
che non siano mai esistite tante possibilità di benessere
e, contemporaneamente, siamo flagellati
da ogni specie di catastrofi. Questo si deve al fatto
che fuggiamo dalla croce per non riconoscere
l’immensa felicità che ci offre quando è abbracciata
con gioia. Nella misura in cui adeguiamo
tutto il nostro modo di essere, prospettive, immaginazioni,
desideri, pensiero, dinamismo, attività
e tempo in funzione di Nostro Signore, siamo invasi
da una pace interiore che a nulla può esser
comparata. Scendono le benedizioni dall’Alto e
si operano le meraviglie della grazia. A ragione
afferma il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira: “La grazia dell’estasi per le cose celesti, per le cose di Dio, offre a una persona il coraggio di caricare
grandi croci come se fossero piccole. Cioè, questo
amore latente per Dio, per la Madonna, per
le grandezze del Cielo agisce con tale profondità
nell’uomo che, per un atto di consenso libero, cosciente
– e allo stesso tempo subcosciente, cosa
che sembra paradossale, ma è vera –, egli si lascia
trasformare. E l’amore della Croce è il sintomo
di questo cambio di mentalità”.17 Così, uniformati
al Divino Redentore, saremo in grado non solo
di riconoscerlo come il vero Messia, confessando
con San Pietro: “Tu sei il Cristo di Dio”, ma diremo
anche con il capo della Chiesa, questa volta
con un timbro di autenticità che solamente la
croce è capace di offrire: “Signore, tu sai tutto; tu
sai che ti voglio bene” (Gv 21, 17).
1 SAN LUIGI MARIA GRIGNION
DE MONTFORT, apud ABAD,
SJ, Camilo María. Introducción
General, c.VI, n.32. In: Obras
de San Luis María Grignion de
Montfort. Madrid: BAC, 1954,
p.66.
2 SAN LUIGI MARIA GRIGNION
DE MONTFORT. Carta circular
a los Amigos de la Cruz, n.15. In:
Obras de San Luis María Grignion
de Montfort, op. cit., p.236-237.
3 FILLION, Louis-Claude. Vida
de Nuestro Señor Jesucristo.
2.ed. Madrid: Rialp, 2000, vol.
II, p.269.
4 Cfr. Lc 3, 21; 5, 16; 6, 12; 9, 18; 10,
21; 11, 1; 22, 31-32; 22, 40-41; 22,
45-46; 23, 34; 23, 46.
5 SAN CIRILLO DI ALESSANDRIA,
apud SAN TOMMASO
D’AQUINO. Catena Aurea. In
Lucam, c.IX, v.18-22.
6 CORNÉLIO A LÁPIDE. Lib. I de
Orat., apud BARBIER, SJ, Jean-
André (Org.). Les trésors de Cornelius
a Lapide. 6.ed. Paris: Ch.
Poussielgue, 1876, vol.IV, p.147.
7 BENEDETTO XVI. Jesús de Nazaret.
Desde el Bautismo a la
Transfiguración. Bogotá: Planeta,
2007, p.341.
8 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO.
Homilía XIX, n.1. In: Homilías
sobre el Evangelio de San Juan (1-29). 2.ed. Madrid: Ciudad Nueva,
2001, p.241.
9 SAN TOMMASO D’AQUINO.
Super Matthæum, c.XVI, L.2.
10 SAN CIRILLO DI ALESSANDRIA.
Comentario al Evangelio
de Lucas, 9, 18, apud ODEN,
Thomas C.; JUST, Arthur A. La
Biblia comentada por los Padres
de la Iglesia. Evangelio según San
Lucas. Madrid: Ciudad Nueva,
2006, vol.III, p.224.
11 SAN TOMMASO D’AQUINO,
Super Matthæum, op. cit.
12 FILLION, op. cit., p.272.
13 BENETTI, Santos. Caminando
por el desierto. Ciclo C. Madrid:
Paulinas, 1985, p.70.
14 VEUILLOT, Louis. Vida de Jesus.
São Paulo: Jornal dos livros,
[s.d.], vol.II, p.131.
15 SANT’AMBROGIO. Tratado sobre
el Evangelio de San Lucas.
L.VI, n.100. In: Obras. Madrid:
BAC, 1966, vol.I, p.338.
16 LAGRANGE, OP, Marie-Joseph.
Évangile selon Saint Luc. 4.ed.
Paris: J. Gabalda, 1927, p.266.
17 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio.
A “Carta Circular aos amigos
da Cruz” – I. Enlevo e holocausto.
In: Dr. Plinio. São Paulo.
Ano X. N.112 (Lug. 2007); p.12.
(Rivista Araldi del Vangelo, Giugno/2016, n. 158, p. 08 - 17)